Filippo
Fantoni
domenica 2 marzo 2008
Biografia motociclistica
Le prime due ruote motorizzate mi furono regalate nel 1963 da una zia androgina che amava la pesca e viaggiava su una velocissima Lambretta seconda serie color sabbia. Mosquito era il nome di quella pesantissima bicicletta con sospensioni a molla, spinta senza furia da un motore di 38cc che azionava un rullo in attrito con la ruota posteriore.
Accettabile in città, soprattutto se non pioveva, ma drammatico alla prima salitella. I due pedali, utili per la spinta d’accensione, erano assolutamente inutili nel momento in cui il motore avesse deciso di prendersi una vacanza.
Il mio primo progetto di viaggio naufragò sulle curve iniziali della Volterrana. Pisa non mi vide mai più; la meta non raggiunta di questo primo viaggio in moto mi rese la città odiosa e non più degna d’interesse.
Il ritorno, a motore fuso, fu stizzito e silenzioso, ma mozzafiato la discesa fino al Galluzzo che alla fine fu anche il suo cimitero: dove si fermò, lì lo lasciai. La lezione di cui feci tesoro fu che bisogna sempre proporzionare la meta al mezzo.
Qualche tempo dopo un conoscente, concessionario della Motom, propose alla mia famiglia, in apprensione per il manifestarsi di una certa mia asocialità, un verde fuoristrada di 50cc con motore a tre marce. Per questo modello, che non ha avuto il minimo successo di pubblico, una semplice strada bianca diventava un tratto molto impegnativo della Parigi-Dakar.
Era comunque perfetto per raggiungere gli amici e fare in piedi sulle pedivelle la rampa d’accesso del garage del liceo. Successivamente, in un momento di soddisfazione mal riposta per il possesso di quell’ambiguo mezzo di trasporto, fu più forte di me applicare a questo falso fuoristrada 4 tempi una marmitta a espansione tipica dei motori a 2 tempi, rafforzando così l’immagine di “vorrei ma non posso” e sottolineando anche l’assenza totale di qualsiasi cognizione di meccanica elementare.
Con l’arrivo della maggiore età e il conseguimento della patente, per me si aprirono molte più possibilità di scelta nel mondo delle due ruote. Questo significava anche la possibilità di una vita sociale e affettiva più intensa e sicuramente una vita privata più indipendente.
Una grande occasione, soprattutto per il meccanico che la offriva, fu l’acquisto di un raro Ducati Scrambler America 250, unico in città e utilizzato dal precedente proprietario per partecipare a gare di regolarità. Con questa motocicletta io, giovane centauro, imparai molte cose sul trasporto di passeggere per gite fuori porta...
Il precedente utilizzo di questa potente moto aveva però lasciato segni che molto presto avrebbero reso costoso e poco duraturo un intervento del meccanico.
Fra il 1970 e il 1976, nel pieno della formazione intellettuale e sentimentale, la motocicletta non fu altro che un mezzo di avventure secondarie, un dettaglio piccolissimo in un quadro più vasto d’interessi in continua trasformazione. Questo “piccolo dettaglio” era uno Stornello 160 di color azzurro cielo.
Inutile dire che non era bello, ma che in sei
anni e settantamila chilometri non aveva mai desiderato altro che benzina e olio.
Nella vita di ogni motociclista c’è sempre un momento in cui la prossima moto dovrà assolutamente essere nuova di pacca anche per insegnare a tutti i precedenti proprietari delle nostre ex moto come si fa un rodaggio. Una rivendicazione vana e velleitaria, anzi una scusa per rovinare un motore da soli e per primi. Questo momento venne quando decisi di acquistare una Honda XL 250, un vero fuoristrada, tanto bello quanto inutile per viaggiare in due.
La sua sella, formata da un unico elemento concavo, faceva sì che il passeggero, dopo alcuni chilometri, scivolasse imman-cabilmente verso il pilota che così si ritrovava incollato al serbatoio in una posizione tanto intima quanto scomoda, soprattutto se l’obiettivo dichiarato era quello di fare chilometri.
Peccato però che fosse il modello meno potente di sempre costruito dalla casa Bavarese. Nelle salite dell’Appennino, in un viaggio che ci portava in Puglia, riuscii a compiere solamente cinque sorpassi, per il resto fu una lunga attesa dietro i veicoli più lenti e un’abbronzatura già perfetta all’arrivo in spiaggia, grazie anche al nerofumo marca diesel.
Per correggere questa scelta sbagliata, nel 1982 fu la volta di una BMW r 65. Su questo gioiello che masticava chilometri come confetti, tutti i miei figli si sono avvicendati, seduti comodamente sul serbatoio color verde petrolio. Dopo 15 anni di servizio e settantamila chilometri d’asfalto ottimamente digeriti, i figli erano cresciuti e quindi si poteva pensare a una moto più adatta ai tempi che cambiavano: la BMW r 850, anche chiamata “nuda”, forse per accattivarsi chi sa quali clienti, era invece una moto essenziale nella sua semplicità, parca nei consumi, potente senza essere prepotente, incollata alla strada, comoda, dotata di una incredibile capacità di carico e quindi grande viaggiatrice.
Questo cavallo d’acciaio è tuttora in servizio ma non mi ha fatto dimenticare però tutte le altre motociclette e poiché si possiede solo ciò che si è amato, sicuramente nel mio vasto garage virtuale ci sarà sempre un posto per ognuna di loro.
Nel 2007 Filippo ha cambiato moto, ora guida una BMW 1150 R (n.d.r.).
Filippo Fantoni nasce a Firenze nel febbraio del 1950. In sella dall’età di tredici anni su moto italiane, inglesi, giapponesi, negli ultimi ventisette anni è rimasto molto legato alle bavaresi. Il disegno è sempre stato l’altra passione e anche lavoro per oltre vent’anni.