domenica 17 febbraio 2008
Io, centauro (ottava puntata)
VIII Paura e pericoli
Provare paura senza riconoscere il pericolo è la definizione che viene assegnata al vigliacco, il coraggioso invece riconosce il pericolo e non ne prova paura.
Il motociclista potrebbe esser collocato nel mezzo fra i due, poiché riconosce il pericolo e lo teme, ma adotta il motto «invita a fare sempre ciò che si ha paura di fare». Le insidie possibili in moto, però, sono tali e tante che l’unico modo per affrontarle è quello della consapevolezza della morte, sorella di vita, che dovrebbe dare misura e dignità a tutto l’agire.
La lista di tutto ciò che rappresenta pericolo potrebbe essere lunga e noiosa, voglio solo indicare tre momenti topici ma scontati: l’alta velocità, il traffico intenso e certe speciali condizioni climatiche.
Due insidie che però sono da temere in modo particolare sono quelle che derivano dalla nostra testa e quelle che dipendono dalla distrazione altrui.
Nel primo caso il pericolo si presenta nel momento in cui, saliti in moto, si affrontano i chilometri iniziali. In questa fase apparteniamo ancora al mondo “pedestre”, ci portiamo appresso, ben ficcate in testa, preoccupazioni quotidiane, sottili inquietudini nate da una conversazione che ci ha visti battuti, una risposta geniale che non arriva mai al momento giusto, ma attende che siate saliti in sella per venire alle labbra e così via, chi più ne ha più ne metta. Questi pungenti fastidi del vissuto sono ancora presenti quando invece l’attenzione dovrebbe già essere entrata in servizio facendoci dimenticare la velocità con cui si procede e quest’ultima, aggiunta alla disattenzione, compone una miscela che può esplodere in ogni momento.
Personalmente, quando riesco ad avvertire questa sfasatura nell’attenzione, inserisco la marcia più bassa possibile per quel tratto di strada e fino al momento in cui non sento l’insorgere lento ma puntuale del piacere della guida, mi ostino nel tenere il motore soffocato al piccolo trotto.
Finché questo piacere non avrà ripreso il sopravvento, controllate la velocità: la testa è ancora “sporca”. Quando il tutto sarà normalizzato, la nostra immagine alla guida assomiglierà piuttosto a quella di un cane con la testa fuori dal finestrino di un’auto in corsa: felicità pura.
Le insidie che dipendono dalle disattenzioni altrui sono di due generi: quella degli uomini con i loro mezzi di locomozione e quella degli animali vaganti.
Una strada poco transitata che divida un pascolo da un bosco, all’alba o al tramonto, ancor più di notte, è potenzialmente luogo d’incontro ma anche di scontro con animali selvatici.
Un fascio di luce, con una moto al seguito, potrebbe procurare un notevole spavento a un daino intento a brucare erba fresca sul ciglio della strada (in una fitta boscaglia non c’è luce sufficiente per la crescita di foraggio appetibile e quindi i bordi di una strada rappresentano un pascolo niente male). Lo stupore e il danno potrebbero essere rilevanti anche per il motociclista al quale si para davanti un muro in pelle.
Altra situazione di pericolo, per la presenza di animali, si manifesta durante l’apertura della caccia. Molti cani, durante le battute, vagano persi lungo le strade di campagna, e, incuranti del nostro sopraggiungere, procedono pericolosamente a zigzag per ricucire, naso a terra, le tracce scomparse dei loro padroni.
Le insidie che dipendono invece dai nostri consimili sono di gran lunga le più rischiose perché più numerosi e meglio armati.
I pericoli compaiono dappertutto, agli incroci quando abbiamo la precedenza, ai semafori quando è verde per noi, in una fila di auto posteggiate dove almeno una è in attesa del nostro arrivo e bramosa di gettarsi nella mischia; a ogni incolonnamento c’è sempre un automobilista pronto a uscire per stirarsi la schiena irrigidita e ammirare la veduta: state certi che lo farà esattamente al nostro sopraggiungere.
Non menzioniamo poi i tentativi di superare autobus, tir, o peggio, un camper che cerchi una piazzola con vista per mettervi radici in un giorno di pioggia.
Tutte le volte che ci accingiamo a superare un veicolo che procede sornione proprio sulla mezzeria, all’improvviso… si potrebbe dire delle esperienze di ognuno e raccontare storie che hanno dell’incredibile se non del drammatico.
Il fatto è che nessuno vede un motociclista, costui, appena in sella, scompare alla vista dei più. A volte c’è un altro essere umano che riesce a distinguere questo fantasma ed è il motociclista seduto al volante di un’auto. Questi, unico al mondo, vi farà sorpassare, spostandosi sulla destra. Mentre voi lo superate con una bella presa di gas mista a una scalata di marcia, lo sventurato vi lancerà uno sguardo triste, sostenuto da un sorriso amaro a dimostrazione di un’autentica nostalgia e sincera invidia.
Se per il resto del mondo vale il proverbio che dice «non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere» per i centauri si dovrebbe scrivere che «il peggior motociclista è colui che pensa di essere visibili.
Due note sui lunghi viaggi
L’eccitazione per l’evento condiziona spesso i preparativi della partenza e induce a sottovalutare, ma più spesso a sovrastimare la cura del bagaglio che per un po’ di tempo sarà il guscio nel quale riporre sicurezza, conforto e guardaroba.
Ogni volta che quel momento arriva, come litania mi ripeto: parti come come se dovessi tornare domani. Se così fosse non avrei bisogno di un gran corredo, né di un accessorio per ogni evenienza, né di un pezzo di ricambio per ogni accidente.
Molto facile a dirsi, ma siamo così abituati a vivere circondati dal superfluo da ritenerlo vitale e il separarcene spesso sembra inconcepibile. È esperienza, comune a molti motociclisti, quella che ci ha visti riempire il poco spazio a disposizione sulla moto con oggetti rimasti poi tutto il tempo chiusi nelle valigie a far zavorra. Programmare tutte le possibili necessità per evitare gli imprevisti rischierà di fare del viaggio solo una verifica delle nostre capacità organizzative mentre il muoversi leggeri riguarda un diverso concetto di viaggiatore: più voglia di conoscere e di incontrare che asettica autosufficienza.
Spesso una necessità, un problema da risolvere, un’incognita da affrontare in un paese straniero sono una sfida, una variante e più spesso un bel ricordo.
A questo riguardo ho un’immagine indelebile del sorriso di un farmacista slovacco mentre cercava,
nel suo latino scolastico ma utilissimo, di spiegare la posologia di una medicina di cui la mia gola infiammata aveva urgente bisogno. Non ricordo invece niente del contesto del novanta per cento delle immagini fotografiche, né l’ inevitabile tentativo di schedare luoghi, situazioni e persone per ricostruire il viaggio a posteriori .
Se mi sforzo di considerare ogni viaggio come una breve escursione, al contrario, il ritorno è la parte psicologicamente più delicata perché spesso considerata fase secondaria, quasi una corsa frenetica e pericolosa a chi arriva prima, qualcosa che assomiglia più a una fuga che a un rientro.
Questo mi invoglia sempre a velocizzare le tappe iniziali per poi centellinare lentamente il ritorno.
Secondo alcune statistiche gli incidenti motociclistici più frequenti sono quelli che avvengono nel raggio di venti chilometri intorno alla propria abitazione, questo significa che la familiarità dei luoghi e la conoscenza delle strade producono una caduta di tensione che a sua volta induce in banali quanto pericolose distrazioni.
Filippo Fantoni
Io, Centauro
(come diventare “vecchi”motociclisti)
Continuiamo con l’ottava puntata del racconto di Filippo Fantoni Io centauro, che comprende i paragrafi Paura e pericoli e Due note sui lunghi viaggi.
Il disegno è sempre stato l’altra passione e anche lavoro per oltre
vent’anni.