Io, centauro (seconda puntata)
domenica 30 dicembre 2007
II Prima di partire
Prima di partire per un viaggio in motocicletta tutte le strade che conosco si confondono nella memoria come se si fossero mescolate le une con le altre, la scelta del tracciato è dettata più dall’umore del momento che non da un progetto preciso.
Spesso è dall’ultimo viaggio che nasce il successivo.
Al rientro di un lungo giro, la chiave d’accensione chiude i contatti e la motocicletta si quieta sfrigolando di fusa meccaniche, come a ricordarti quanto abbia contribuito al tuo piacere.
È allora che comincia a crescere il germoglio delle prossima partenza, quando la memoria riproietta il film del percorso, degli eventi, degli incontri come in una pellicola tridimensionale, impressionata da immagini, luci, rumori e profumi.
Questa onda breve ma intensa di sensazioni è l’epifania del viaggio che, come sirena di terra, ti irretisce ogni volta creando una dipendenza alla quale è difficile sottrarsi.
Quale altro mezzo è così perfetto da unire odori e immagini in un insieme nitido ma allo stesso tempo senza contorni netti e capace di avvolgerti per giorni col suo ricordo?
In sella, l’olfatto ha un ruolo importante e il naso non è più in vacanza.
D’estate, il caldo espande i profumi di resine e fiori e li amplifica, in inverno invece, imprigionati nell’ombra umida del sottobosco, il muschio e il fungo liberano il loro segnale gastronomico.
L’occhio, concentrato nella guida, ha percezioni fugaci di tutto quello che sta di lato, ma la memoria incamera i frammenti di queste visioni e li ricompone poi con un suo ordine non sempre temporale ma piuttosto sensoriale.
Prima di partire quindi si mischiano molte sensazioni nella testa di un motociclista: il senso di libertà, la vittoria sulla gravità, la velocità, ma anche altre meno scontate come l’olfatto e la vista dalla coda dell’occhio.
Tutto questo accende il desiderio dell’andare per andare, una irrefrenabile eccitazione da ultimo giorno di scuola quando, all’improvviso, facevi volare via la cartella e diventavi il padrone assoluto del tuo tempo.
Questo stato di esaltazione e un certo senso di onnipotenza prevalgono infantilmente sulla razionalità e la concentrazione che invece la motocicletta richiede per manovrare in sicurezza.
Nessuna riflessione sul passato o sul futuro deve interferire con questo impegno, conta solo l’attimo presente, ogni pensiero estraneo alla striscia d’asfalto, ogni distrazione si trasforma in una potenziale perdita d’equilibrio con la caduta che ne consegue.
Difficile? Certo non facile, perché è come se si agisse guardando in un caleidoscopio che compone con le sue tessere colorate un disegno in continua trasformazione, con al centro il grigio della strada che scorre.
Se partire è un po’ morire, come si dice talvolta, partire in moto è un po’ come rinascere, ma ci obbligherà a ridefinire l’idea di viaggio da un punto di vista meno prevedibile riscoprendo il piacere di un nuovo/antico modo di girare il mondo anche se più impegnativo, almeno in termini di fatica.
Il confronto con l’automobilista diventa qui inevitabile perché il comfort, la sicurezza e il silenzio ovattato di un salotto con comode poltrone intorpidiscono chi vi si adagi fino a rendergli estraneo il mondo al di là del finestrino.
La nostra società si fonda sull’idea di ridurre il rischio e il pericolo intorno all’uomo.
Questo rispettabile proposito tende ad assicurarci una vita protetta e priva d’incognite.
Tutto deve essere il più possibile sotto controllo.
Spesso siamo poco disposti o troppo pigri per fronteggiare situazioni imprevedibili dove si mescolino in egual misura l’inquietudine di un pericolo latente e l’attrazione per l’ ignoto, visto più come fonte di insidie che di stimolanti scoperte.
Un amico raccontava che, trovandosi in un’isola dell’Egeo e guidando lungo un itinerario panoramico, fra i dirupi di un’impervia area montuosa, era rimasto molto impressionato dal fatto che non esistessero protezioni laterali e che in caso di uscita di strada, non ci sarebbe stato scampo. Giunto a destinazione, mai abbandonato dall’ansia, aveva chiesto a un conoscente locale perché le autorità preposte non avessero costruito le opportune protezioni.
La risposta data fu: «se c’è pericolo, è quello che proviamo in noi».
Così è l’andare in motocicletta: difficile e pieno di insidie, ma… per aspera ad astra.
III Equilibrio e complicità
Il motociclista lo si potrebbe definire un funambolo veloce e senza rete, che procede sul proprio “filo” impugnando, ortogonalmente al senso di marcia, l’asta/manubrio.
Come il funambolo, egli fa della concentrazione la propria condizione permanente fino a invertire il senso dell’equilibrio: riprendere contatto con la terra ferma genera una singolare perdita di stabilità, un misterioso ma breve disorientamento.
In questa condizione si trova anche il sommozzatore che emerge dall’acqua e d’un tratto avverte il peso della propria attrezzatura.
Anche il motociclista, fermandosi, avverte il peso improvviso della motocicletta e prova, per un attimo, una strana instabilità alla quale pone subito rimedio “con i piedi per terra”.
Se l’equilibrio è il presupposto fondamentale dell’andare in moto, è pur vero che questa condizione viene raggiunta in modo del tutto involontario senza grandi sforzi fisici o particolare consapevolezza.
Nessun motociclista dirà mai come sia riuscito a mantenere in equilibrio un mezzo che pesa alcune centinaia di chili e procedere in modo lineare; parlerà piuttosto di tenuta, accelerazione, frenata, potenza, ripresa. Questo strano veicolo che ha preso dall’equitazione molti termini, porta nel nome il proprio destino e la propria naturale predisposizione: una moto-cicletta diventa pesante e insicura da ferma, il moto le giova e inverosimilmente la rende più stabile e sicura.
Sembrerà un’ovvietà ma tutti i proseliti vi confermeranno che il loro primo problema, una volta in sella, è stato manovrare a bassa velocità, invertire la marcia o posteggiare.
Questa stabilità armonica (altra definizione di equilibrio e anche sinonimo di saggezza), a volte viene brutalmente interrotta da una caduta che neutralizza la sensatezza, ne rompe la magia e ne annulla la sicurezza. Per questo il cadere, a parte le conseguenze fisiche, viene vissuto come un evento umiliante e insensato.
La presenza di insidie latenti crea una speciale consapevolezza fra la gente di motocicletta, un forte e tacito legame di comune identità e di complicità con le rischiose leggi della gravità.
Queste condizioni, unite a una costante precarietà, producono, fra due motociclisti che si incrocino per strada, una tacita comunicazione fatta di reciproco incoraggiamento che si concretizza spesso con un breve lampeggio di fari o una mano che si solleva con le dita a V che sta per: vittoria!… almeno quella sulle proprie paure.
La regola non scritta, ma tacitamente sottoscritta dalla comunità, è quella di restituire a un altro motociclista in panne, l’aiuto ricevuto e creare così una catena di solidarietà.
Una caratteristica che accomuna molti motociclisti sta nel fatto che non si smette mai mai di esserlo, anche quando si è alla guida di un’auto, facendo sì che le capacità di ricevere aiuto e soccorso siano maggiori.
Il disegno è sempre stato l’altra passione e anche lavoro per oltre
vent’anni.
Filippo Fantoni
Io, Centauro
(come diventare “vecchi”motociclisti)
Continuiamo con la seconda puntata del racconto di Filippo Fantoni Io centauro, che comprende i paragrafi Prima di partire ed Equilibrio e complicità.