Mi porterò a Bray Hill
mercoledì 18 giugno 2008
TT, il ritorno (100+1)
Sono sul ponte della nave verso Rotterdam e sto guardando il mare del Nord nella sua ora migliore, dopo che è calato il sole.
C’è la malinconica luce giusta per i riassunti, con una miriadi di ricordi che attraversano la mente, tutti insieme così non c’è verso né di ricordarli né di metterli in ordine.
L’anno scorso avevo tentato di metterli per iscritto, anche perché era la prima volta che venivo sull’isola ed era il centenario del TT; ero riuscito a scrivere un paio di pagine su tutte le splendide sensazioni che il mio debutto sull’isola aveva generato.
I quattro amici a Delft
Nel frattempo stavo leggendo il libro di Mario Donnini, La vera guida al TT, e ho scoperto che, più o meno, e nel suo caso con uno stile narrativo nettamente migliore, c’erano scritte le stesse cose.
Incazzato, come chi scopre che l’idea del secolo è già stata brevettata da un altro, ho buttato il file, ma evidentemente le idee mi sono rimaste in testa.
Quest’anno mi sono riportato a Bray Hill, parafrasando Roberto Patrignani, e mi sono ritornate in mente le stesse cose; in effetti è dura non essere scontati parlando del TT.
Snaefell. Mc Guinness. Occhio al passaggio a livello
Durante la gara della Supersport siamo andati nel lungo rettilineo di Sulby, fino ad allora snobbato per la sua scarsa “visibilità”.
È uno dei punti veloci del circuito dove è stata da poco sfondata la velocità di punta di 200 mph! (circa 330 km/h, n.d.r.)
In effetti, i tempi di permanenza delle moto nel campo visivo sono piuttosto ridotti e la concentrazione è tutta dedicata a leggere il numero di gara sulla carena spesso senza successo, ma la sensazione della velocità è spettacolosa.
Sentire il rumore da sesta piena salire dalle curve di Quarry Bends fino a scomparire nella lontanissima scalata del ponte di Sulby regala secondi di adrenalina pura, esaltati da quello splendido regalo della natura che è l’effetto Doppler.
Kirk Michael. Martin. Le moto, il sole, l'odore del mare e il pub a 20 metri... un paradiso
È il punto del circuito dove si respira la vera anima del TT e… lascia il segno.
Mi è venuto in mente il giorno prima, domenica, quando abbiamo visto la MotoGP nella clubhouse del campeggio del St. John AFC, dotata non solo di televisione perennemente sincronizzata sulle news del TT, ma anche di Playstation con cui cimentarsi a rischio zero sulle più di 200 curve del tracciato (non da escludere che qualcuno abbia preparato il Mad Sunday sulla consolle del St. John).
In un religioso silenzio, guai a interrompere l’ascolto dei forbiti telecronisti inglesi con i nostri sberci da Italiani, abbiamo visto una bellissima gara che però, con negli occhi ancora Kirk Michael e la discesa del Mitre, sembrava una gara di mini moto.
Kirk Michael - Da quì giù a manetta
La sensazione della velocità attutita dalla lontananza della ripresa, l’assenza di suoni celestiali, la mancanza di ostacoli che fanno magicamente sparire e apparire le moto e l’impossibilità di vedere le espressioni concentrate e aggressive sul viso dei piloti hanno trasformato quello che pensavamo l’evento motociclistico per eccellenza, la MotoGP, quasi in una corsetta tra amici al luna park.
Ho definitivamente realizzato come il motociclismo, insieme all’automobilismo, oramai sia distante dalle passioni e dalla spettacolarità, edulcorato e messo a margine da interessi commerciali spesso mascherati come sicurezza.
Non è solo un discorso di dove si corre, in pista la moto la puoi appena vedere tanto è lontana, ma anche di lontananza dei piloti, di inaccessibilità dei box, di impossibilità di vedere e apprezzare la professionalità non solo dei piloti stessi e dei meccanici, ma anche di tutta la gente che gravità, con merito, intorno alle corse.
Al TT tutto questo non succede: sei immerso in un unico grande ambiente dove tutto sa di motocicletta, dove puoi tranquillamente vedere come i meccanici preparano le moto anche fino a notte fonda, dove puoi andare a bere una birra con i piloti, dove sei parte dello stesso gruppo di appassionati, spettatore, pilota, marshall o giornalista che sia.
Il TT è il motoclicismo.
E qui viene naturale dissentire con l’orda di giornalisti ben pensanti che si divertono a sputare sentenze su una corsa e un ambiente che non hanno mai né visto né conosciuto, continuando a lamentarsi della sua pericolosità e consigliandone l’eliminazione; l’Everest, con vent’anni meno di attività, ha fatto più di 200 morti come il TT e nessuno si è mai sognato di suggerirne la chiusura.
Eppure si tratta della stessa cosa, una sfida volontaria ai limiti delle capacità umane, pericolosa come tutte le sfide estreme… valli a capire gli ipocriti.
A favore del TT c’è l’estrema professionalità di tutti: dai piloti che si devono ricordare ogni centimetro di una pista lunga 60 km con più di 200 curve, agli addetti che prima di ogni gara livellano la strada, potano gli alberi, lavano il tracciato perché sia perfetto per la prossima, ai meccanici che fanno notte fonda per rimediare ai guai di qualche pilota, magari non della loro squadra e non con le stesse possibilità economiche, proprio per metterlo in grado di correre in sicurezza.
Niente è lasciato al caso o all’approssimazione per lasciare l’unica incognita del fatto che è pur sempre una corsa su strada. Da ricordare comunque che un albero preso a 300 all’ora o a 100 è duro uguale.
È una grande famiglia che deve avere e ha un solo obiettivo, divertirsi minimizzando il rischio; leggendo le statistiche dei nostri fine settimana italiani al mare, si sono raggiunti anche i 60 morti a week-end di cui la metà motociclisti, con medie di 40 km/h, vorrei sapere cosa c’è da imputare al TT con zero morti nel 2008 a 130 mph di media!!
In effetti quest’anno qualcuno ci ha lasciato in maniera violenta, ma in un normale incidente stradale: il poveretto, un francese, ha fatto una cosa che è capitata a tutti almeno una volta guidando a sinistra: ha affrontato una curva contromano, forse pensando di essere ancora sul continente, ma ha trovato una Range Rover sulla sua strada: non ha sofferto ed è morto facendo una cosa che lo divertiva.
Lo so che non è bello ridurre i morti a statistica, ma una cosa va detta: per ogni vittima sull’isola l’anno dopo vedi l’azione correttiva, come quella di quest’anno sulle zone proibite per gli spettatori che tante polemiche ha sollevato, mentre per i motociclisti morti sulle nostre strade nessuno muove un dito: prossimamente scriveremo qualcosa sui guard rail (sull’isola non esistono).
Nyarbil. …e dove la parcheggio la moto?
Il buio è calato sul mare del Nord e c’è un vento troppo freddo per la mia felpina da due lire: torno dentro a farmi l’ultima Bodington prima di dormire.
Prima però è tempo di conclusioni; cosa mi rimane di questo ultimo TT: la splendida birra della Okells, il rumore delle moto a Ballacrane alle sei di mattina, lo stufato di agnello del St. John, il ruggito delle moto a Sulby, le splendide vallate dello Snaeffels, le moto che sbucavano dalle nebbie.
Ballacrane. Speriamo non sia allergico
Domani scorrazzeremo per l’Olanda agghindata a festa per gli Europei di calcio e aggiungerò un’altra perla alla collana dei ricordi: il giovane meccanico adoratore di Valentino che mi sostituirà il cuscinetto della ruota posteriore, schiantato senza avvertimento in autostrada, nel tempo di prendere una birra.
Simone Chiari