Alberto Portalupi, magentino, quasi sessant’anni portati bene. Bè! Diciamo portati e basta. Dopo Aquilotto e Lambretta lascia le due ruote per riprenderle a 38 anni, partendo da una Kawasaki z400 bicilindrica. Da allora non è più sceso e non ha mai cambiato marca. Usa la moto tutti i giorni sia per lavoro sia per diletto.

 

Dolore feroce, ho mollato il gas e mi sono rialzato, così mi sono beccato anche la guarnizione del cupolino di una CBR 1000 in pieno petto.

Però, che sensazione! Sì, avevo trovato la mia moto. Da allora ho cominciato a fare qualcosa che con le altre moto non avevo mai fatto: le parlavo, l’accarezzavo, la pulivo anche quando non serviva; era sempre più bella, più formosa, più mia.

In famiglia, vedendomi dedicare tutte queste attenzioni alla moto, hanno cominciato a sfottermi. Non mi avevano mai visto lavare la moto e poi mettermi a pulirla con il glassex (provate, l’ho imparato a Monza, funziona). Così la mia ZX-10 è stata ribattezzata “la preziosa”, prima da mio figlio e poi da tutti gli altri.

E “la preziosa” me la stavo proprio godendo, in un mese ero arrivato a 4932,4 kilometri. E lì è rimasta per tre anni.

Sì. Ho avuto una crisi epilettica (così dicono, ma nessuno ne è sicuro anche adesso) e mi hanno fermato. Non fare questo, non fare quello, per esempio non fare più il bagno nella vasca, usa la doccia ecc. Ma soprattutto non andare in moto! Ecchecazzo! Ora che ho trovato la mia moto…

Ho impiegato tre anni a convincere tutti che quel che avevo avuto era una crisi da stress e non una crisi epilettica. E, infatti, dopo tre anni spesi nell’inutile ricerca di un focolaio epilettico, mi hanno detto: ok, non hai avuto nulla di serio, torna a fare quello che vuoi. Avrei strozzato tutti: mi avevano rubato tre anni di moto.

Ma in quei tre anni “la preziosa” non l’avevo abbandonata. Tutte le sere tornando dal lavoro facevo un salto in garage a parlarle, a farle promesse di giri interminabili, di corse su strade piene di curve. La facevo sognare. Non doveva dimenticare di essere La mia moto. Sabato e domenica, per la felicità dei vicini, le facevo sentire il rombo del suo motore, due metri fuori dal garage. E in famiglia la ZX-10 diventava sempre di più «la preziosa», ma detto con un tono diverso, non più per sfottere. E anche per me dire “scendo un attimo dalla preziosa” era diventato naturale.

Quanta strada abbiamo fatto. Quanto freddo. Quanta acqua. Mi ha portato dappertutto e senza mai un problema. Sì l’amavo quella moto!

Il vostro Giovanni Maria l’ha conosciuta, forse me l’ha anche accarezzata di nascosto (il porco!). Non si poteva resisterle. Chiedetegli quanto era sexy!

Non l’ho mai prestata a nessuno, tranne a Monica, un’amica che correva nel campionato italiano femminile, e solo per un giro intorno all’isolato. Di lei mi fidavo, era un pilota; ma quando ha svoltato l’angolo sono andato in ansia finché non è ricomparsa. Da allora non l’ho mai più prestata. Quello mi è sembrato un tradimento.

Poi… è arrivato il giorno in cui mi sono dovuto separare da lei. Ormai aveva 100 mila km. Era ancora bellissima. Ma girare a Milano era diventato un problema. Troppo traffico, troppi autovelox, troppi vigili, troppe norme antinquinamento.

Dovevo decidermi a lasciarla per un’altra. Ma non me la sentivo di farla abbattere. Mi aveva dato troppo.

I concessionari l’avrebbero demolita e non se lo meritava. Così sinuosa nelle forme, così dolce e grintosa allo stesso tempo. Così perfetta. Ma tenere due moto non me lo potevo permettere.

Ho trovato un amico e l’ho data a lui. Mi ha giurato di trattarla bene e ogni tanto di farmela provare. Non era un motociclista. Ho chiesto alla “preziosa” di aiutarlo a diventare tale. E nel 2003 l’ho lasciata andare.

Ora ho una Kawa ZX9R, leggera, potente quanto basta per un sessantenne. In famiglia la chiamano “la moto”. Anch’io la chiamo “la moto”. Non le parlo, non la coccolo. L’ho comprata perché faccia il suo dovere di moto. E da lei non voglio altro. Anche lei l’ho comprata nuova (quando è uscita di produzione, naturalmente): dovrei sentirla mia. Dovrei esserne geloso. Dovrei lavarla. Non mi va. Le faccio i tagliandi, le dò olio e benzina, le sostituisco le lampadine: in cambio lei deve fare la moto, e basta.

Quando usciamo in gruppo e mi propongono di scambiare le moto non dico mai di no. Non mi interessa. Una moto vale l’altra.

Ma quando sotto casa arriva “la preziosa”, corre tutta la famiglia. Non dicono «guarda che è arrivato Paolo», dicono «è arrivata la preziosa» e corrono alla finestra a guardare giù in strada. E lei è sempre bella, formosa e dolce. E ammiccante.

Ora è arrivata a 140 000 km e non ha intenzione di fermarsi. A Paolo sono sempre io a proporre lo scambio moto. E lui accetta sempre. È un amico.

Ha promesso che un giorno me la restituirà. E so che avverrà. Quando non dovrò più girare per Milano tutti i giorni e non mi servirà più una moto che faccia solo la moto, proporrò a Paolo uno scambio moto. Definitivo.

Ah! Dimenticavo! Paolo e i suoi continuano a chiamarla “la preziosa”.