Maria Rodighiero
Maria Rodighiero
La prima volta
mercoledì 4 giugno 2008
Hai voluto la moto?…
C’è chi, arrivato a cinquant’anni, cerca di fermare il tempo con il lifting, chi con l’aiuto di un chirurgo estetico, chi tra le braccia di un giovane amante, io ho tentato di esorcizzare l’avanzare dell’età mettendomi alla prova. Ho deciso di imparare a fare una cosa che mi attraeva e mi faceva paura per poter dire di nuovo “la prima volta”. Così sono diventata da “zavorra” pilota (che Valentino mi perdoni!).
Sono stata per anni fedele zavorra di Morini 350, Cagiva 650, Ducati 900 ss, Ducati 916 e ST4, mi sono finalmente adagiata su comode BMW, ma mai avevo guidato. A dire il vero, verso i vent’anni, avevo accarezzato l’idea di comprarmi una Cagiva 125, ma la mia condizione di studentessa dalle scarse risorse economiche mi aveva fatto desistere e mi ero accontentata di guidare vespe altrui. Ora, a quarantasette anni suonati, madre di tre figli, due già maggiorenni, ho pensato che fosse giunto il momento di provare, di mettermi finalmente in sella.
È stata una decisione lenta e sofferta.
Il mio pilota, a dir il vero, aveva subodorato tale mio desiderio e da tempo, mentre mi guidava per curve e tornanti, mi raccontava nell’interfono le alchimie dell’asfalto, di come si debbano evitare le scie d’olio e i bordi fangosi, di come la mezzeria sia un baratro che non va oltrepassato, che ogni traversa, anche la più piccola, nasconda un agguato, che bisogna sempre prevedere le azioni altrui.
C’è stato poi un “BMW day” a Misano durante il quale, mentre la mia dolce metà provava in circuito un bolide camuffato da moto da strada, io ho fatto scuola guida tra i birilli con una 650 GS che mi è sembrata così facile, così abbordabile da credere più realizzabile il mio sogno. Da buona vespista tentavo disperatamente di cambiare con la mano, ma sono riuscita a non fare danni.
C’è stata poi Benedetta, la mia amica del cuore, che già guidava e mi invogliava a provare e mi continuava a dire che affrontare le curve era come sciare.
Così, in un tardo pomeriggio di settembre, ho staccato l’assegno che mi rendeva proprietaria di una BMW 650 GS Dakar usata dalla carena bianca e il serbatoio a scacchi bianchi e neri che ho battezzato Marty (la zebra di “Madagascar” che sogna la libertà). È stato Felice a dirmi che ogni moto deve avere un suo nome.
Il mio maestro e mentore che da un lato aveva contribuito ad alimentare il desiderio, al momento della mia decisione si è rivelato una gelida Rottermeier e, con freddo raziocinio, ha decretato “vuoi la moto? Te la vai a prendere!”.
Così, anche se avevo guidato una moto forse mezz’ora in tutta la vita, mi sono trovata invischiata nel traffico delle cinque di una periferia urbana nella quale unica regola è l’anarchia.
La Novamoto, concessionaria BMW di Firenze, sorge infatti in un quartiere periferico dalle strade larghe e trafficatissime, dove le corsie si moltiplicano e scorrono a fatica fra semafori e rotonde. L’officina, annessa al negozio, è naturalmente in un seminterrato per cui chi acquisti una moto si trova, come primi metri, una rampa in salita. Insomma, l’ideale per un principiante.
Così, gli orecchi pulsanti nel casco, quando, dopo pochi metri mi sono fermata al distributore a fare il pieno ho dovuto comunicare, tutta eccitata, a un benzinaio indifferente che era la prima volta!
Non so quale Santo mi abbia condotta per i 18 km che dalla concessionaria mi portavano a casa. Forse è stato il desiderio di non deludere il mio bambino che dal finestrino della macchina mi guardava con gli occhi sgranati e faceva il tifo, ma sono arrivata. Tutto ciò è avvenuto quattordici mesi fa, 20 000 km fa.
Nel mezzo ci sono state lunghe girate nel cuore del gruppo, con davanti Filippo che paziente mi segnalava quando cambiare e dietro Simone a raccogliere i pezzi…
Ai primi di ottobre di quest’anno, per la prima volta dopo tanti mesi, sono risalita in sella come zavorra e ho avuto voglia di arrivare, allora ho capito: la grande differenza fra chi guida e chi è portato è che per il primo vale il viaggio per il secondo la meta.
Hai voluto la moto?…
C’è chi, arrivato a cinquant’anni, cerca di fermare il tempo con il lifting, chi con l’aiuto di un chirurgo estetico, chi tra le braccia di un giovane amante, io ho tentato di esorcizzare l’avanzare dell’età mettendomi alla prova. Ho deciso di imparare a fare una cosa che mi attraeva e mi faceva paura per poter dire di nuovo “la prima volta”. Così sono diventata da “zavorra” pilota (che Valentino mi perdoni!).
Sono stata per anni fedele zavorra di Morini 350, Cagiva 650, Ducati 900 ss, Ducati 916 e ST4, mi sono finalmente adagiata su comode BMW, ma mai avevo guidato. A dire il vero, verso i vent’anni, avevo accarezzato l’idea di comprarmi una Cagiva 125, ma la mia condizione di studentessa dalle scarse risorse economiche mi aveva fatto desistere e mi ero accontentata di guidare vespe altrui. Ora, a quarantasette anni suonati, madre di tre figli, due già maggiorenni, ho pensato che fosse giunto il momento di provare, di mettermi finalmente in sella.
È stata una decisione lenta e sofferta.
Il mio pilota, a dir il vero, aveva subodorato tale mio desiderio e da tempo, mentre mi guidava per curve e tornanti, mi raccontava nell’interfono le alchimie dell’asfalto, di come si debbano evitare le scie d’olio e i bordi fangosi, di come la mezzeria sia un baratro che non va oltrepassato, che ogni traversa, anche la più piccola, nasconda un agguato, che bisogna sempre prevedere le azioni altrui.
C’è stato poi un “BMW day” a Misano durante il quale, mentre la mia dolce metà provava in circuito un bolide camuffato da moto da strada, io ho fatto scuola guida tra i birilli con una 650 GS che mi è sembrata così facile, così abbordabile da credere più realizzabile il mio sogno. Da buona vespista tentavo disperatamente di cambiare con la mano, ma sono riuscita a non fare danni.
C’è stata poi Benedetta, la mia amica del cuore, che già guidava e mi invogliava a provare e mi continuava a dire che affrontare le curve era come sciare.
Così, in un tardo pomeriggio di settembre, ho staccato l’assegno che mi rendeva proprietaria di una BMW 650 GS Dakar usata dalla carena bianca e il serbatoio a scacchi bianchi e neri che ho battezzato Marty (la zebra di “Madagascar” che sogna la libertà). È stato Felice a dirmi che ogni moto deve avere un suo nome.
Il mio maestro e mentore che da un lato aveva contribuito ad alimentare il desiderio, al momento della mia decisione si è rivelato una gelida Rottermeier e, con freddo raziocinio, ha decretato “vuoi la moto? Te la vai a prendere!”.
Così, anche se avevo guidato una moto forse mezz’ora in tutta la vita, mi sono trovata invischiata nel traffico delle cinque di una periferia urbana nella quale unica regola è l’anarchia.
La Novamoto, concessionaria BMW di Firenze, sorge infatti in un quartiere periferico dalle strade larghe e trafficatissime, dove le corsie si moltiplicano e scorrono a fatica fra semafori e rotonde. L’officina, annessa al negozio, è naturalmente in un seminterrato per cui chi acquisti una moto si trova, come primi metri, una rampa in salita. Insomma, l’ideale per un principiante.
Così, gli orecchi pulsanti nel casco, quando, dopo pochi metri mi sono fermata al distributore a fare il pieno ho dovuto comunicare, tutta eccitata, a un benzinaio indifferente che era la prima volta!
Non so quale Santo mi abbia condotta per i 18 km che dalla concessionaria mi portavano a casa. Forse è stato il desiderio di non deludere il mio bambino che dal finestrino della macchina mi guardava con gli occhi sgranati e faceva il tifo, ma sono arrivata. Tutto ciò è avvenuto quattordici mesi fa, 20 000 km fa.
Nel mezzo ci sono state lunghe girate nel cuore del gruppo, con davanti Filippo che paziente mi segnalava quando cambiare e dietro Simone a raccogliere i pezzi…
Ai primi di ottobre di quest’anno, per la prima volta dopo tanti mesi, sono risalita in sella come zavorra e ho avuto voglia di arrivare, allora ho capito: la grande differenza fra chi guida e chi è portato è che per il primo vale il viaggio per il secondo la meta.
Hai voluto la moto?…
C’è chi, arrivato a cinquant’anni, cerca di fermare il tempo con il lifting, chi con l’aiuto di un chirurgo estetico, chi tra le braccia di un giovane amante, io ho tentato di esorcizzare l’avanzare dell’età mettendomi alla prova. Ho deciso di imparare a fare una cosa che mi attraeva e mi faceva paura per poter dire di nuovo “la prima volta”. Così sono diventata da “zavorra” pilota (che Valentino mi perdoni!).
Sono stata per anni fedele zavorra di Morini 350, Cagiva 650, Ducati 900 ss, Ducati 916 e ST4, mi sono finalmente adagiata su comode BMW, ma mai avevo guidato. A dire il vero, verso i vent’anni, avevo accarezzato l’idea di comprarmi una Cagiva 125, ma la mia condizione di studentessa dalle scarse risorse economiche mi aveva fatto desistere e mi ero accontentata di guidare vespe altrui. Ora, a quarantasette anni suonati, madre di tre figli, due già maggiorenni, ho pensato che fosse giunto il momento di provare, di mettermi finalmente in sella.
È stata una decisione lenta e sofferta.
Il mio pilota, a dir il vero, aveva subodorato tale mio desiderio e da tempo, mentre mi guidava per curve e tornanti, mi raccontava nell’interfono le alchimie dell’asfalto, di come si debbano evitare le scie d’olio e i bordi fangosi, di come la mezzeria sia un baratro che non va oltrepassato, che ogni traversa, anche la più piccola, nasconda un agguato, che bisogna sempre prevedere le azioni altrui.
C’è stato poi un “BMW day” a Misano durante il quale, mentre la mia dolce metà provava in circuito un bolide camuffato da moto da strada, io ho fatto scuola guida tra i birilli con una 650 GS che mi è sembrata così facile, così abbordabile da credere più realizzabile il mio sogno. Da buona vespista tentavo disperatamente di cambiare con la mano, ma sono riuscita a non fare danni.
C’è stata poi Benedetta, la mia amica del cuore, che già guidava e mi invogliava a provare e mi continuava a dire che affrontare le curve era come sciare.
Così, in un tardo pomeriggio di settembre, ho staccato l’assegno che mi rendeva proprietaria di una BMW 650 GS Dakar usata dalla carena bianca e il serbatoio a scacchi bianchi e neri che ho battezzato Marty (la zebra di “Madagascar” che sogna la libertà). È stato Felice a dirmi che ogni moto deve avere un suo nome.
Il mio maestro e mentore che da un lato aveva contribuito ad alimentare il desiderio, al momento della mia decisione si è rivelato una gelida Rottermeier e, con freddo raziocinio, ha decretato “vuoi la moto? Te la vai a prendere!”.
Così, anche se avevo guidato una moto forse mezz’ora in tutta la vita, mi sono trovata invischiata nel traffico delle cinque di una periferia urbana nella quale unica regola è l’anarchia.
La Novamoto, concessionaria BMW di Firenze, sorge infatti in un quartiere periferico dalle strade larghe e trafficatissime, dove le corsie si moltiplicano e scorrono a fatica fra semafori e rotonde. L’officina, annessa al negozio, è naturalmente in un seminterrato per cui chi acquisti una moto si trova, come primi metri, una rampa in salita. Insomma, l’ideale per un principiante.
Così, gli orecchi pulsanti nel casco, quando, dopo pochi metri mi sono fermata al distributore a fare il pieno ho dovuto comunicare, tutta eccitata, a un benzinaio indifferente che era la prima volta!
Non so quale Santo mi abbia condotta per i 18 km che dalla concessionaria mi portavano a casa. Forse è stato il desiderio di non deludere il mio bambino che dal finestrino della macchina mi guardava con gli occhi sgranati e faceva il tifo, ma sono arrivata. Tutto ciò è avvenuto quattordici mesi fa, 20 000 km fa.
Nel mezzo ci sono state lunghe girate nel cuore del gruppo, con davanti Filippo che paziente mi segnalava quando cambiare e dietro Simone a raccogliere i pezzi…
Ai primi di ottobre di quest’anno, per la prima volta dopo tanti mesi, sono risalita in sella come zavorra e ho avuto voglia di arrivare, allora ho capito: la grande differenza fra chi guida e chi è portato è che per il primo vale il viaggio per il secondo la meta.