Continuiamo con la quinta puntata del racconto di Filippo Fantoni Io centauro, che comprende il paragrafo L’abito fa il motociclista.
Io, centauro (quinta puntata)
V L’ abito fa il motociclista
Se per il monaco il vestiario è irrilevante, per il motociclista l’abito è di capitale importanza: è lo scudo col quale si protegge dalle intemperie e si difende nelle cadute.
Non importa quale moto si usi e quante se ne possegga, è l’abito che fa il motociclista ed è nell’equipaggiamento che si ripone la propria incolumità, dimostrando la consapevolezza del pericolo. Se riguardiamo qualche vecchia pellicola con soggetto motociclistico o le nostre stesse foto di giovani e incoscienti centauri, possiamo osservare come siano cambiati i tempi e non solo per l’estetica delle moto, il taglio dei capelli e il beffardo sorriso dell’immortalità stampato sulle facce, ma soprattutto per l’abbigliamento improprio e l’ignoranza assoluta dell’uso del casco.
Non esisteva niente che fosse pensato per la sicurezza, solo i piloti professionisti indossavano rudimentali tute in pelle e loro soltanto portavano il casco o più propriamente quella ciotola di bachelite con le protezioni in pelle su gli orecchi; i motociclisti erano pochissimi e comunque persone non del tutto “normali”.
La motocicletta era il mezzo dei meno abbienti o degli “alternativi”; si indossavano gli abiti quotidiani, con l’eccezione comunque non frequente della giacca di pelle, buona per ripararsi dal freddo, ma spesso sostituita dal giornale e sicuramente inutile in caso di caduta perché priva di protezioni interne. Anche ora, nonostante l’infinita possibilità di scelta dell’equipaggiamento per le due ruote, sono in molti a ignorare l’importanza dell’abbigliamento.
Per il casco il materiale più sicuro è la fibra di vetro, per il modello la scelta rimane essenzialmente estetica. In passato ne esistevano di due tipi: jet e integrali, oggi ne esiste un tipo che li contiene entrambi perché la mentoniera è mobile e la si può alzare fin sopra la calotta. Questo casco è perfetto per l’impiego turistico: in autostrada lo si può usare chiuso come l’ integrale ma non appena la strada inizia a salire e la temperatura a scendere, in montagna si accendono le stufe e i camini e voi, con la celata in su e naso al vento, scoprirete cosa bolle in pentola e con che legno sul fuoco si cucina la cena.
Gli stivali sono un altro buon argomento di discussione fra motociclisti, ma non ci sono grandi differenze tecniche per preferire l’uno a l’altro. Il punto è: quando e dove indossarli? la risposta è: sempre. Solamente gli indiani salivano a cavallo scalzi o nel migliore dei casi coi mocassini.
La moto è sempre molto calda, molto più della pancia di un cavallo; è sufficiente scendere dalla sella dopo una bella sgroppata e accostare la caviglia calzino-vestita al collettore di scarico o alla marmitta e il gioco è fatto.
I guanti: fondamentali. In primo luogo perché le dita, come tutte le estremità, tendono ad avere maggiori problemi di circolazione e dalle mani dipendono il 50% dei comandi di guida; secondo perché in una caduta sono spesso le prime parti del corpo a toccare il terreno, cercando d’istinto si salvare la faccia e attenuare l’impatto. In moto quindi la loro protezione richiede molta cura; la mano è il termometro del piacere di guida, non fredda e insensibile, né calda e sudata, non segnata da cuciture troppo spesse o eseguite nel punto sbagliato. Qualunque sia il materiale con cui viene cucito, il guanto è un accessorio indispensabile anche perché molti elementi della motocicletta, soprattutto in estate, hanno temperature capaci di ustionare gravemente, di contro, sotto la pioggia, è importante avere mani asciutte e calde per mantenere una buona sensibilità di guida in sicurezza.
domenica 20 gennaio 2008
Il disegno è sempre stato l’altra passione e anche lavoro per oltre
vent’anni.
Filippo Fantoni
Io, Centauro
(come diventare “vecchi”motociclisti)